Gli
ultimi avvenimenti della rivoluzione egiziana sollevano delle questioni
importanti, a cui riflettere e su cui discutere, che ci mettono ancora
una volta davanti alla stessa domanda: cosa può significare tutto ciò
per noi, non come qualcosa che succederebbe lontano da qui, ma come
qualcosa che non conosce frontiere e quindi riguarda direttamente anche
noi.
Chiariamo
innanzitutto il fatto che la “rivoluzione” non è un “momento” della
storia, che si potrebbe separare dal resto per dire: quel giorno, c’è
stata la rivoluzione. La rivoluzione è un lungo processo che si sviluppa
attraverso una serie di insurrezioni, una serie di momenti di rottura
violenti, nei quali il potere viene attaccato, in grande o piccola
scala, in maniera più individuale o più collettiva. Tali insurrezioni
destabilizzano l’ordine stabilito, l’ordine politico così come quello
economico e sociale. Esse creano una breccia per dei nuovi pensieri, dei
nuovi modi di intendere sé stessi e la propria vita. L’azione libera
così come il pensiero libero ne vengono stimolati. Le esperienze
insurrezionali trasformano l’uomo, poiché esse fanno sì che egli
apprenda ad avere fiducia nelle proprie forze e nelle proprie idee. E
tutto ciò è l’ossigeno necessario perché la lotta continui ad
arroventarsi.
Da due anni e mezzo ormai la rivoluzione egiziana per il pane, la libertà e la giustizia sociale cerca la sua strada. Essa è cominciata con il sollevamento contro il dittatore Mubarak, che è stato cacciato, con la violenza necessaria, dopo 40 anni di dittatura; essa ha poi continuato a battersi contro l’esercito che aveva preso il potere. Dopo un anno e mezzo di lotta contro il regime militare, per dodici mesi la rabbia degli oppressi e dei rivoluzionari si è diretta contro i nuovi potenti: l’ex presidente Morsi ed i Fratelli Mussulmani.
Potremmo pubblicare qui una lista di tutte le proteste che hanno avuto luogo a partire dal 2011 e resteremmo a bocca spalancata dall’ammirazione ed il rispetto per l’accanito coraggio di tutte quelle persone che si avventurano sulla strada della rivolta. Evidentemente, i fatti sono importanti, ma di sicuro innanzitutto per gli individui che li hanno vissuti. Come abbiamo già detto, la rivolta trasforma l’uomo. E soltanto considerando questi fatti come esperienza vissute da individui possiamo prendervi gusto anche noi, qui, in questo contesto pacificato. Ciò ci spiega che non dobbiamo aspettare che le masse scendano, forse, nelle strade, ma che noi possiamo, qui ed ora, insorgere contro ciò che ci opprime.
Non tracceremo un quadro di tutti i blocchi (di strade, di linee ferroviarie, di metro…), di tutti i saccheggi, scioperi, scontri, attacchi (ricordiamo soltanto di sfuggita gli attacchi al palazzo presidenziale)… Preferiamo focalizzare il nostro sguardo sulla profondità e soffermarci ancora un po’ sulle questioni dell’insurrezione e della rivoluzione. Se non ci poniamo queste domande, rischiamo di cadere nei tranelli che il potere ci ha teso. Rischiamo di leggere la rivoluzione egiziana come uno spettacolo politico, come una “opposizione” ad un potere politico, per esempio i Fratelli Mussulmani, mentre stanno succedendo cose molto più profonde. Rischiamo di non capire che quello che è successo il 30 giugno 2013 non è dipeso affatto dall’esercito o da un’opposizione politica, ma che quei bastardi hanno strappato l’insurrezione dalle mani degli oppressi in rivolta.
Andare oltre lo spettacolo che i media ci presentano significa andare oltre i bocconi già masticati che ci rifilano. Ciò significa andare da sé alla ricerca di quello che sta succedendo, utilizzare il proprio cervello e soprattutto non dare alcuna fiducia alle parole con cui il potere ci bombarda. Chi da credito al linguaggio del potere crederà che il 30 giugno milioni di egiziani sono scesi in strada per esigere delle “elezioni presidenziali anticipate” e che l’intervento dell’esercito ha messo fine al potere politico dei Fratelli Mussulmani. Ma si tratta di un imbroglio, un grande inganno nazionalista e politico, propagato e preparato da qualche tempo.
L’esercito non è l’amico del popolo, si tratta un’istituzione votata alla difesa dello Stato, che prende quindi le difese dell’ordine sociale. E la cosa tragica è che questo esercito, lo stesso che è stato all’origine di molti bagni di sangue quando era al potere nel 2011 e 2012, è riuscito a far credere a una gran parte della gente che è anche l’amico del popolo. Hanno fatto credere che sono stati dei generali ad aver cacciato i Fratelli Mussulmani, mentre ciò non è altro che un grande spettacolo. È il movimento rivoluzionario nelle strade, quel movimento che nell’ultimo anno ha combattuto come un leone talmente selvaggio e dai denti talmente affilati, è questo movimento che ha provocato la caduta dei Fratelli Mussulmani. Il coraggio e la tenacia dei rivoluzionari e degli oppressi in rivolta hanno fatto crescere qualcosa di grande. Era nell’aria da tempo: il potere sarebbe di nuovo caduto. La campagna politica Tamarod (una coalizione di partiti politici, all’origine dell’appello del 30 giugno) è stata lanciata nel momento propizio per strappare la rivoluzione dalle mani della piazza e trasformarla in spettacolo politico. Uno spettacolo fra partiti politici, fra presidenti, fra elezioni e parlamenti. L’esercito, fra l’altro proprietario del 40% dell’economia egiziana, ha cavalcato l’onda con un unico obiettivo: salvare lo Stato e l’ordine dalla rivoluzione sociale.
Il 30 giugno ha segnato una nuova fase. È importante prestare attenzione a questo fatto, perché la rivoluzione è minacciata da ogni parte, in maniera grave. Innanzitutto da uno degli esercito più potenti al mondo, che chiama alla guerra civile unicamente per distrarre l’attenzione dalla rivoluzione e proteggere così le ricchezze e i privilegi dalla rabbia divoratrice della piazza. La rivoluzione si trova poi di fronte al tiro di sbarramento di una delle più potenti ideologie del mondo: quella della democrazia. La democrazia che ha come solo scopo preservare la pace fra oppressi ed oppressori. Che invita la gente ad andare a votare, a scegliere i propri oppressori, che sancisce che si può manifestare pacificamente, che trasforma tutti in pecore. E quindi: affiliamo i nostri denti di leone, facciamo un solo grande fuoco di questa nazione egiziana che ammira l’esercito, facciamo un solo grande fuoco di tutti i partiti politici e le ideologie, di tutti i leader religiosi o laici. E troviamo delle risposte alle esigenze della rivoluzione sociale. Spingiamola avanti, con audacia, con sfrontatezza, convinti. Perché soltanto la rivoluzione sociale può avvicinarci alla fine dell’oppressione.
Ci sono anche persone che scendono in strada per opporsi all’esercito tanto quanto ai Fratelli Mussulmani, che si battono per la continuazione della rivoluzione, per le proprie rivendicazioni: pane, libertà e giustizia sociale. Che ognuno cerchi i metodi che ritiene opportuni per esprimere la sua solidarietà con questo movimento. Abbasso l’esercito, abbasso i Fratelli Mussulmani, abbasso lo Stato ed ogni potere! Erhal [1]!
[tratto da Hors Service, n. 39, Bruxelles, 9 agosto 2013.]
Da due anni e mezzo ormai la rivoluzione egiziana per il pane, la libertà e la giustizia sociale cerca la sua strada. Essa è cominciata con il sollevamento contro il dittatore Mubarak, che è stato cacciato, con la violenza necessaria, dopo 40 anni di dittatura; essa ha poi continuato a battersi contro l’esercito che aveva preso il potere. Dopo un anno e mezzo di lotta contro il regime militare, per dodici mesi la rabbia degli oppressi e dei rivoluzionari si è diretta contro i nuovi potenti: l’ex presidente Morsi ed i Fratelli Mussulmani.
Potremmo pubblicare qui una lista di tutte le proteste che hanno avuto luogo a partire dal 2011 e resteremmo a bocca spalancata dall’ammirazione ed il rispetto per l’accanito coraggio di tutte quelle persone che si avventurano sulla strada della rivolta. Evidentemente, i fatti sono importanti, ma di sicuro innanzitutto per gli individui che li hanno vissuti. Come abbiamo già detto, la rivolta trasforma l’uomo. E soltanto considerando questi fatti come esperienza vissute da individui possiamo prendervi gusto anche noi, qui, in questo contesto pacificato. Ciò ci spiega che non dobbiamo aspettare che le masse scendano, forse, nelle strade, ma che noi possiamo, qui ed ora, insorgere contro ciò che ci opprime.
Non tracceremo un quadro di tutti i blocchi (di strade, di linee ferroviarie, di metro…), di tutti i saccheggi, scioperi, scontri, attacchi (ricordiamo soltanto di sfuggita gli attacchi al palazzo presidenziale)… Preferiamo focalizzare il nostro sguardo sulla profondità e soffermarci ancora un po’ sulle questioni dell’insurrezione e della rivoluzione. Se non ci poniamo queste domande, rischiamo di cadere nei tranelli che il potere ci ha teso. Rischiamo di leggere la rivoluzione egiziana come uno spettacolo politico, come una “opposizione” ad un potere politico, per esempio i Fratelli Mussulmani, mentre stanno succedendo cose molto più profonde. Rischiamo di non capire che quello che è successo il 30 giugno 2013 non è dipeso affatto dall’esercito o da un’opposizione politica, ma che quei bastardi hanno strappato l’insurrezione dalle mani degli oppressi in rivolta.
Andare oltre lo spettacolo che i media ci presentano significa andare oltre i bocconi già masticati che ci rifilano. Ciò significa andare da sé alla ricerca di quello che sta succedendo, utilizzare il proprio cervello e soprattutto non dare alcuna fiducia alle parole con cui il potere ci bombarda. Chi da credito al linguaggio del potere crederà che il 30 giugno milioni di egiziani sono scesi in strada per esigere delle “elezioni presidenziali anticipate” e che l’intervento dell’esercito ha messo fine al potere politico dei Fratelli Mussulmani. Ma si tratta di un imbroglio, un grande inganno nazionalista e politico, propagato e preparato da qualche tempo.
L’esercito non è l’amico del popolo, si tratta un’istituzione votata alla difesa dello Stato, che prende quindi le difese dell’ordine sociale. E la cosa tragica è che questo esercito, lo stesso che è stato all’origine di molti bagni di sangue quando era al potere nel 2011 e 2012, è riuscito a far credere a una gran parte della gente che è anche l’amico del popolo. Hanno fatto credere che sono stati dei generali ad aver cacciato i Fratelli Mussulmani, mentre ciò non è altro che un grande spettacolo. È il movimento rivoluzionario nelle strade, quel movimento che nell’ultimo anno ha combattuto come un leone talmente selvaggio e dai denti talmente affilati, è questo movimento che ha provocato la caduta dei Fratelli Mussulmani. Il coraggio e la tenacia dei rivoluzionari e degli oppressi in rivolta hanno fatto crescere qualcosa di grande. Era nell’aria da tempo: il potere sarebbe di nuovo caduto. La campagna politica Tamarod (una coalizione di partiti politici, all’origine dell’appello del 30 giugno) è stata lanciata nel momento propizio per strappare la rivoluzione dalle mani della piazza e trasformarla in spettacolo politico. Uno spettacolo fra partiti politici, fra presidenti, fra elezioni e parlamenti. L’esercito, fra l’altro proprietario del 40% dell’economia egiziana, ha cavalcato l’onda con un unico obiettivo: salvare lo Stato e l’ordine dalla rivoluzione sociale.
Il 30 giugno ha segnato una nuova fase. È importante prestare attenzione a questo fatto, perché la rivoluzione è minacciata da ogni parte, in maniera grave. Innanzitutto da uno degli esercito più potenti al mondo, che chiama alla guerra civile unicamente per distrarre l’attenzione dalla rivoluzione e proteggere così le ricchezze e i privilegi dalla rabbia divoratrice della piazza. La rivoluzione si trova poi di fronte al tiro di sbarramento di una delle più potenti ideologie del mondo: quella della democrazia. La democrazia che ha come solo scopo preservare la pace fra oppressi ed oppressori. Che invita la gente ad andare a votare, a scegliere i propri oppressori, che sancisce che si può manifestare pacificamente, che trasforma tutti in pecore. E quindi: affiliamo i nostri denti di leone, facciamo un solo grande fuoco di questa nazione egiziana che ammira l’esercito, facciamo un solo grande fuoco di tutti i partiti politici e le ideologie, di tutti i leader religiosi o laici. E troviamo delle risposte alle esigenze della rivoluzione sociale. Spingiamola avanti, con audacia, con sfrontatezza, convinti. Perché soltanto la rivoluzione sociale può avvicinarci alla fine dell’oppressione.
Ci sono anche persone che scendono in strada per opporsi all’esercito tanto quanto ai Fratelli Mussulmani, che si battono per la continuazione della rivoluzione, per le proprie rivendicazioni: pane, libertà e giustizia sociale. Che ognuno cerchi i metodi che ritiene opportuni per esprimere la sua solidarietà con questo movimento. Abbasso l’esercito, abbasso i Fratelli Mussulmani, abbasso lo Stato ed ogni potere! Erhal [1]!
[tratto da Hors Service, n. 39, Bruxelles, 9 agosto 2013.]
[1] Letteralmente: “vattene”, slogan della rivoluzione, contro Mubarak, l’esercito, Morsi, ancora l’esercito… NdT